La fusione panica con la natura

Negli ultimi anni ho cercato di scandagliare cosa mi interessa più profondamente, anche con un giochino divertente, elencando libri letti e amati e incolonnandoli in base alle tematiche ricorrenti, e predominavano soprattutto due idee: l’interesse per gli archetipi (il mito greco, Jung, Hillman), e il sentimento dell’unità con il tutto, nel senso della fusione panica con la natura, anche rispetto al trascorrere del tempo (il mito dei nativi americani prima, il dionisiaco e l’eterno ritorno di Nieztsche poi).
Ed in effetti a pensarci bene io che ora me ne vado a dormire all’addiaccio a 2000 metri sono la stessa che da bambina passava ore a cavalcare il suo cavallo di legno ascoltando le colonne sonore dei film western. E lo spirito estatico con cui amo frequentare la montagna è il senso stesso della mia pittura: dimenticarsi di sé come individuo e riunirsi al tutto di fronte alla vastità, e alla varietà del paesaggio naturale, considerato anche nel suo farsi, e disfarsi, nel corso del tempo. In fondo è poi il dolce naufragare nel mare infinito di Leopardi, ma è un infinito dalle forme plastiche e fluide, il mio segno. Credo che sia quest’idea del tutto ad avermi portato in pittura a giustapporre materia, e materiali eterogenei, e anche probabilmente a tendere verso il bianco, somma e conflagrazione di tutti i colori. E’ poi forse in fondo una forma di spiritualità.

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