The seven pillars of wisdom
La montagna sacra.
di Alessandra Chiappini - 2014

L’estasi può esserci regalata, oltre che dalle grandi opere d’arte, anche dai grandi spazi della natura come le grandi pianure, le vallate fra le montagne, il mare e i deserti, talvolta anche solo immaginati, i grandi spazi in cui il cuore sembra allargarsi e ci si sente minuscoli nell’infinito, perciò anche nel concepire un quadro spesso ricerco queste atmosfere, con quel senso di vastità e di potenza.

Spesso al centro di questi dipinti colloco una montagna martoriata dalle intemperie, o una forma ad essa riconducibile come una piramide crollata, o una ziggurat in rovina. E’ il centro solido, corporeo che fa da contrappunto al vuoto dello spazio circostante, e di quel solido mi piace indagare con il disegno a tratteggio la logica costitutiva, la struttura spaziale, lo sviluppo tridimensionale, proprio per percepirne la concretezza ed individuare un punto fermo nella vastità.

Anche a livello simbolico il tema della montagna è sempre ricco di suggestioni perché nell’immaginario di ognuno è depositata l’idea del monte sacro, più vicino all’incorruttibilità del cielo, luogo di culto dei nostri antenati pagani, luogo di riconciliazione dopo il diluvio per Deucalione come per Noè, e della consegna delle Tavole della Legge.

Ma l’idea della montagna è forse ancora più affascinante per il suo valore di testimone del tempo, per quella posizione dominante ottenuta emergendo dalle viscere della terra, con la manifestazione delle molteplici stratificazioni che nei millenni l’hanno letteralmente costituita insieme alle enormi spinte tettoniche che l’ hanno fatta emergere, rendendola anche scrigno di innumerevoli testimonianze fossili di vita imprigionata e cristallizzata per sempre. E poi la montagna considerata come corpo ha un’aura particolare in quanto spettatrice solenne e imperturbabile delle vicende naturali e storiche, a sua volta erosa ed invecchiata dal tempo e dagli elementi, emblema “vissuto” di durata e insieme di consunzione.

La montagna solitaria è insomma un archetipo, e gli archetipi sono temi estremamente affascinanti, dai miti antichi alle recenti interpretazioni di James Hillman, perché costituiscono le nostre immagini interiori, e sono comuni a tutti gli uomini. Occuparsi di archetipi permette di parlare un linguaggio condiviso da tutta l’umanità, e garantisce di non perdersi nel soggettivismo e nell’autobiografia.

Ma nei miei quadri non si tratta solo di montagne laddove il monte è spesso quel che resta di una piramide egizia o di una ziggurat, quindi di un manufatto dell’arte antica, e di nuovo entra in gioco la storia, e quindi il tempo.

Ritorna dunque il tema dell’estasi, questa volta per le meraviglie dell’architettura e della scultura del passato, già perfette ma ancora più belle perché mutile, come se il tempo nel togliere dei dettagli avesse in realtà fornito loro qualcosa in più, appunto il fascino della storia. Tutto questo genera un senso di malinconia nel constatare la decadenza della civiltà occidentale ormai globalizzata nel senso più povero del termine, drammaticamente priva di una progettualità di lungo respiro, ubriaca di individualismo-consumismo ed indifferente alla distruzione dei valori umani e degli equilibri della natura.

Per questo accosto alle rovine antiche le immagini del degrado contemporaneo, come ruderi di guerra o carcasse di automobili, prelevate dalla stampa e fissate sulla tela così come ci vengono proposte dai mass-media.
E di nuovo mi commuovo nel vedere la bellezza dell’arte antica, le sue promesse di civiltà non mantenute, e mi ritrovo nel disfacimento che il tempo ha impresso su quelle opere.

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